Respirare correttamente è la prima regola per mantenere il nostro corpo vigoroso e longevo. Una respirazione adeguata, infatti, non solo serve ad ossigenare correttamente i tessuti, ma combatte anche i tanto temuti radicali liberi, causa primaria dell’invecchiamento. Sono in pochi ad interrogarsi sul perché e come respiriamo, mentre vita sedentaria, inquinamento e stress, ci fanno dimenticare l’importanza di questa fondamentale “cultura” che ci accompagna fin dal primo gemito.
Vale la pena ricordare che ogni individuo nel periodo prenatale trascorre nove mesi nel grembo materno immerso nel liquido amniotico; durante lo sviluppo embrionale, il cuore è, inizialmente, suddiviso in due parti (come quello dei pesci), poi in tre cavità (come quello degli anfibi) e solo al termine della gestazione in quattro cavità (come quello dei mammiferi). Iter che ripercorre fedelmente tutte le tappe dell’evoluzione della specie. L’uomo, quindi, fin dalla nascita, porta con sé un prezioso patrimonio di riflessi atavici che gli appartengono, come ad esempio quello di “muoversi”, senza respirare, in una sorta di mondo idrospaziale; infatti, il neonato sin dalla nascita chiude naturalmente la bocca, trattiene il fiato e nuota a rana senza che nessuno glielo abbia mai insegnato. Crescendo, però, svilupperà al meglio le aree deputate al controllo delle attività motorie, ma perderà quell’istinto naturale del nuoto, dell’apnea e del corretto “ventilarsi”.
Immergersi in mare, quindi, vuole dire rispolverare la parte oscura di un “naturale comportamento” che viene in tal modo rivisitato, tonificato e molto spesso corretto; una sorta di ritorno alle origini che, grazie alla consapevolezza che “respirare” in acqua è diverso che sulla terra ferma, risveglia certamente antichi riflessi, ma impone una presa di coscienza nuova.
E’ vero che trattenere il respiro è quanto di più innaturale si possa fare, ma persino le culture orientali ci hanno insegnato che nel momento in cui l’uomo trattiene il respiro tutta la sua attenzione si concentra sul corpo per ascoltare “cosa accade dentro” e percepire il limite a trattenere il respiro; non a caso un antico detto Zen recita: “Quando trattieni il respiro, dentro di te avviene tutto ciò che è giusto”.
Trattenendo il respiro per andare sott’acqua – sfidando apparentemente la natura - si innesca un delicato processo fisiologico che guida l’uomo ad uno stretto rapporto di comunicazione con il corpo, con la mente e con le emozioni. Per interagire con tali funzioni però è necessario che ogni cosa trovi il suo equilibrio, condizione strettamente subordinata alla consapevolezza, alla costanza e per ultimo alla forza di volontà.
Infatti, l’apneista maturo - a differenza del neofita, ignaro di tutto ciò che orbita attorno alla semplice interruzione dell’attività respiratoria- acquisisce una capacità organizzativa tale da poter comunicare direttamente con il corpo e trovare quell’elemento fondamentale che si chiama “equilibrio”; non a caso gli adepti dello yoga si riferiscono al concetto di “azione opposta” in base al quale “…se voglio trattenere tanto il respiro, devo respirare altrettanto bene…”.
L’equilibrio smorza la tensione e conduce al benessere, sensazione che solo i cultori del respiro – come ad esempio l’apneista- sono in grado di percepire gestire ed apprezzare.
Respirare e poi trattenere il respiro - per chi si immerge - non significa fare il pieno d’aria, bensì preparare coscientemente il proprio organismo ad interrompere un delicato processo vitale e predisporlo ad un nuovo “stile di vita”: l’apnea.
Tale condizione non è altro che coscienza: conoscenza di sé, del proprio corpo, dell’aria modulata e delle modificazione indotte, della dinamica dei pensieri che governano il comportamento umano.
Proprio questa nuova conoscenza produce la regolarità e la fluidità dei riflessi.
Si tratta di un aspetto importante, non solo per l’apneista, ma per l’uomo in genere che, grazie a questa fluidità, scopre un nuovo e migliore equilibrio mentale per “muoversi” ed adattarsi. Ecco perché, oggi, un numero sempre più crescente di persone pur non essendo apneisti, ricercano nuovi e migliori stili di vita proprio nella cultura del respiro.
In definitiva, se oggi si parla tanto di educazione al respiro e anche nei corsi di apnea si dedica particolare attenzione alle “nuove” tecniche di respirazione, una ragione –non sempre legata a fattori tecnico-sportivi -sicuramente c’è.
L’arte del non respirare, dunque, rappresenta per l’uomo, non solo una sorta di elisir di lunga vita, ma una condizione esistenziale virtuosa attraverso la quale è possibile trovare le ragioni profonde della propria esistenza.